Erice – Cultura
Gli arabi arrivarono ad Erice nell’831, ribattezzandola Gebel-Hamed (La Montagna di Maometto). Ma fu soltanto con i Normanni che la città riuscì a tornare agli antichi splendori: vennero rinforzate le mura, eretto il Castello, riorganizzato l’assetto urbano e costruiti magnifici palazzi e chiese. Denominata Monte San Giuliano dal Conte Ruggero (leggenda vuole che San Giuliano gli apparve in sogno durante l’assedio), la città mantenne tutta la sua bellezza e gran parte della sua rilevanza durante tutta l’epoca moderna. Tornò a chiamarsi Erice nel 1934 per volontà di Mussolini, in ricordo dell’antica epoca romana, periodo di ispirazione per tutto il movimento fascista. Dunque da sempre Erice è stata considerata luogo di cultura tra sacro e profano, tutto questo in una incredibile location fortemente impregnata di storia, che non troverete in nessuna altra parte del Mediterraneo.
Erice è una piccola città siciliana che unisce arte, storia e scenari naturali tra i più belli al mondo. Il suo centro storico richiama il periodo medievale, vi si accede dal lato ovest tramite le porte normanne aperte nelle antiche mura. Giunti a Erice ci si trova immersi in un luogo unico e affascinante caratterizzato da stradine piene di edifici e monumenti storici da ammirare. Sulla parte est troviamo il Castello di Venere dal quale si può godere di uno dei panorami più belli in assoluto: la vista è quella della vicina città di Trapani, che si estende con la sua forma a falce sul mare, ma si possono scorgere anche le isole Egadi, la riserva delle saline di Trapani e Paceco, delle contrade rurali ed anche la montagna che sovrasta Sciacca nel territorio di Agrigento. Suggestiva e affascinante, la città di ERICE è tra le località turistiche più apprezzate, non solo in Sicilia, ma in tutto il Mediterraneo. Si sale fino a quota 750 metri per poterla ammirare in tutto il suo splendore medievale: tra le viuzze delle strade e i cortili delle abitazioni, sembra che il tempo si sia fermato da secoli. Da Trapani fino alle Egadi, al tramonto si assiste a fantastici giochi di colore, con i raggi del sole calante che si riflettono nel candore delle saline. Dal 1963 Erice è sede del prestigioso Centro di Cultura Scientifica “Ettore Majorana”, quest’ultimo fu realizzato al fine di studiare e porre rimedio ai più complicati problemi planetari. Le possenti mura, ancora in ottimo stato soprattutto sul versante nord-ovest, risalgono a periodi differenti: la parte inferiore è addirittura del periodo fenicio, mentre quella superiore si deve ai Normanni, i quali aprirono le tre porte oggi presenti (Spada, Carmine e Trapani). Corso Vittorio Emanuele è l’asse viario più importante di Erice, quest’ultima essendo tutta zona a traffico limitato (ZTL) non consente l’accesso alle auto, previa autorizzazione della polizia municipale, per raggiungere la città si può anche usufruire della funivia o del servizio navetta, inoltre è disponibile una carrozzina “Off Road” per diversamente abili con problemi di deambulazione (per prenotazione chiamare: 3497595157 email salvatore.denaro@comune.erice.tp.it )
Castello di Venere e Giardino del Balio
Sito sulla cima del Monte Erice, il Castello Normanno sorge come fortezza sulle rovine di un santuario a cielo aperto sicano-elimo al quale in epoca romana si sovrappose un tempio di modeste dimensioni dedicato dai Romani alla Venus Erycina. Venne successivamente reso inespugnabile grazie all’edificazione di poderose mura e dalle Torri del Balio che circondavano la struttura un tempo collegate al castello tramite un ponte levatoio. Il carattere difensivo è ancora testimoniato dal piombatoio sopra il portone d’ingresso arricchito dallo stemma degli Asburgo di Spagna, tangibile segno del loro passaggio. Circonda il Castello di Venere e le Torri del Balio, il Giardino del Balio, edificato, anch’esso in periodo normanno come difesa avanzata del castello. I giardini così come le torri adiacenti, prendono il nome dal “baiolo” rappresentante dell’autorità regia che durante il medioevo, risiedeva presso l’adiacente castello. Il giardino di originale gusto inglese, impiantato a metà del secolo XIX per volontà del conte Agostino Pepoli è un vero e proprio monumento naturale. Il panorama che si gode dall’alto di questo sito è ritenuto, a ragione, uno dei più belli del mondo.
Torretta Pepoli
La torretta Pepoli prende il nome dal conte Agostino Pepoli (1848-1911) studioso, cultore del bello e mecenate che intorno al 1881 la fece edificare all’interno dell’attuale giardino del Balio, spazio e polmone verde della città. Nella Torretta, rifugio silenzioso per le sue meditazioni, il conte Pepoli accolse gli uomini di cultura del tempo e fra questi il letterato Ugo Antonio Amico, il musicologo Alberto Favara, il ministro Nunzio Nasi, il direttore della Biblioteca Fardelliana di Trapani Giuseppe Polizzi, l’archeologo Antonio Salinas, lo storico Nicolò Rodolico e tanti altri. La struttura, dopo i lavori di restauro, è stata restituita alla comunità e alla pubblica fruizione come Osservatorio permanente di Pace e faro del Mediterraneo. Posta su una piattaforma rocciosa rappresentava il desiderio di potere del conte e col passare degli anni diventò uno dei monumenti simbolo della città di Erice. Dopo estenuanti trattative con i discendenti, la Torretta Pepoli è oggi di proprietà dell’amministrazione comunale. Sotto il costone roccioso della Torretta Pepoli sono stati piantati dal nobile numerosi alberi di pino che hanno dato vita a una maestosa pineta, dove egli era solito sostare e passeggiare lungo i viali con i più importanti esponenti della nobiltà trapanese. La Torretta Pepoli, infatti, oltre ad ospitare Nunzio Nasi, ministro del Regno d’Italia, ha anche ospitato studiosi, scienziati e artisti vari che qui, invitati dal conte, potevano trovare alloggio nella tranquillità della montagna. Ancora oggi è luogo d’incontro scambio e meditazione tra popoli culture e religioni.
Torre Campanaria
La primitiva torre quadrangolare d’avvistamento riedificata durante le guerre del Vespro, alla fine del XIV secolo fu trasformata in campanile con bifore, La costruzione alta 28 metri circa, con base quadrata 8 x 8 metri, iniziali rampe di gradini in pietra e scala a chiocciola, si articola su tre livelli: il pianterreno è illuminato da monofore, gli altri piani presentano vani arricchiti da eleganti bifore.
I 110 gradini conducono alla piattaforma sommitale cinta da merli ghibellini ospitante le incastellature campanarie. Da questa posizione si gode una magnifica visuale sulla cittadina e un controllo a 270° che spazia dai rilievi di Monte Cofano alla penisola di San Vito lo Capo e il profilo di Ustica; sull’intera città di Trapani, le Saline di Trapani, lo Stagnone, Mozia e la città di Marsala; la pianura, tutto il sinuoso altipiano fino a Segesta sulla direttrice per Palermo, senza trascurare il vasto specchio di mare con l’arcipelago delle Egadi.
Polo museale Antonio Cordici
Il Museo Antonino Cordici di Erice racchiude in sé testimonianze attestanti la storia della Città e della sua gente attraverso i secoli; il suo patrimonio, costituito da reperti archeologici, sculture, opere d’arte, beni etno-antropologici, ci consente, infatti, di attraversare secoli di storia e comprendere questo legame indissolubile della gente con il Paese. La storia del Museo trae le sue origini dal collezionismo privato. Il primo collezionista della Città fu Antonio Cordici, grande storico vissuto nella seconda metà del sec. XVI; dopo di lui altri benemeriti cittadini seguirono il suo esempio. Nel 1866 una serie di leggi che presero il nome dal promulgatore Siccardi stabilirono di sopprimere tutti i conventi e le corporazioni religiose. I Comuni avevano la facoltà, previa formale domanda, di prendere possesso sia degli immobili che dei beni degli stessi.
Il Comune di Erice divenne proprietario non solo delle sedi dei tanti conventi ma anche delle opere in essi custoditi. Oggi questi reperti sono custoditi nei locali dell’ex convento di terz’ordine di San Francesco.
Nella sezione archeologica, la più ricca, spicca una testina femminile di divinità in marmo identificata e diffusa come la testina di Venere dea della bellezza e della fecondità il cui culto attirò nell’antichità tante presenze provenienti da diverse parti del mondo; una pintadera, stampo in terracotta con incisi motivi geometrici raffiguranti un labirinto. Questi strumenti venivano usati dalle popolazioni neolitiche per imprimersi sulla pelle disegni ornamentali colorati. Si possono poi ammirare tre pannelli in maiolica. Uno raffigura lo stemma della famiglia patrizia Badalucco, gli altri due uno stemma vescovile con all’interno la scritta PAX.
Fra i beni etno-antropologici un Presepe e la Fuga in Egitto. Entrambe le rappresentazioni sono custodite in teche di legno. Tutti i personaggi, le casette, gli animali del presepe sono in alabastro, in alto la scena della Natività. Nella Fuga in Egitto, i personaggi sono realizzati in ceroplastica e sono collocati in uno scenario naturalistico tra arbusti, foglie, rami e fiori con gli angioletti.
Nell’arte sacra di particolare interesse un tronetto d’altare su cui sono inseriti specchi e decorazioni in argento; tre pianete e un paliotto ricamati con fili d’oro e d’argento. Va segnalato anche un crocefisso ligneo opera del trapanese Pietro Orlando.
Tra le opere più importanti vi è senz’altro l’Annunciazione di Antonello Gagini (datata 1525). Proviene dalla Chiesa del Carmine dove si trova una copia in maiolica. L’opera è stata commissionata dal nobile ericino Giacomo Pilati per l’altare della chiesa appartenente alla sua famiglia. Interessante una collezione di armi di epoca garibaldina costituita da una sciabola, un fucile e tre moschetti donata dalla famiglia Coppola.
Prestigiosa la collezione di dipinti costituita da un centinaio di quadri di Alberto Augugliaro, pittore ericino allievo del Mirabella e del Cortegiani, un quadro in ardesia della Madonna di Custonaci dono del cavaliere Vincenzo Curatolo ed un’opera in tela denominata Noli me tangere. Sono ritratti Cristo e la Maddalena. La Maddalena in ginocchio guarda estasiata a dimostrazione del grande amore che l’aveva spinta a recarsi al Sepolcro con il vaso di aromi. L’originale è conservato a Bologna nella chiesa di santa Maria dei Servi. Un altro dipinto degno di ammirazione è Marta e Maddalena di Andrea Carreca proveniente dal Monastero del Santissimo Salvatore. Marta tiene in mano il crocifisso. La Maddalena vestita di rosso è il simbolo del peccato. Nascosto in un angolo a sinistra di Marta il demonio.
Un quadro di ispirazione fiamminga è La Madonna dei Sette dolori. Il tema iconografico dei sette dolori è ricorrente nella pittura fiamminga ma trova riscontro nell’ambiente napoletano della fine del secolo XVIII frequentato dai pittori fiamminghi. La spada infissa nel petto dell’Addolorata sta a significare l’angoscia materna. Caratteristico un baule per il corredo nuziale in legno di autore ignoto. La decorazione originaria della fine del Settecento è stata coperta da nuove decorazioni di gusto neoclassico riferibile al XIX secolo: tre formelle quadrangolari poste nella parte frontale, posteriore e sul coperchio. Da ammirare una vera di pozzo in marmo di scuola gaginiana decorata con putti ed ornamenti floreali proveniente dal Duomo.
Duomo dell’Assunta
La chiesa fu realizzata nel corso dei primi decenni del XIV secolo secondo il progetto dell’architetto Antonio Musso. La chiesa è di stile gotico e alcuni restauri vennero fatti nel XIX secolo. La pianta è di tipo basilicale a tre navate, delimitate da due lunghi filari di alti pilastri di tufo calcareo sui quali poggiano degli archi ogivali. Nove croci greche in marmo fissate alla parete sud, provenienti dal tempio di Venere Erycina, furono qui incastrate per volontà dell’arciprete Vito Carvini nel 1685: una lastra murata ne spiega origini e finalità.
. Sul fianco settentrionale vi è portale catalano, ornato con bugne a diamante. Sul versante orientale, sulla piazzetta, è addossato un altare del 1852, con una croce incorniciata finemente di tufo: vi si celebrava il rito prepasquale della benedizione delle palme.
Nell’altare principale, al centro del transetto, figura la Madonna dell’Assunta, che poi da il nome alla chiesa, circondata da bassorilievi raffiguranti i Santi Evangelisti dentro delle nicchie.
Il portale esterno è di chiara ispirazione catalana, decorato con bugne a diamante, è sormontato da una caratteristica finestra che apre sopra una lunga risega del muro esterno. Una cupola mammelliforme sormonta la costruzione.
Chiesa San Martino
Edificata dal Conte Ruggero Normanno, su una preesistente chiesetta dedicata all’omonimo Santo, è stata più volte ricostruita e ampliata nel corso dei secoli.
La facciata è molto semplice e presenta un portale barocco, ricostruito nel 1682 e dominato dall’effige del santo.
L’interno è a pianta basilicale impreziosito da maioliche. Nell’abside, di forma quadrata, si trova un coro ligneo rococò del 1761, e presenta affreschi raffiguranti il Sacrificio di Isacco e la Discesa di Gesù nel Limbo. Adiacente ad essa si apre l’elegante e maestoso oratorio di San Martino, in stile rococò e decorato da stucchi e affreschi.
Chiesa San Giuliano
La chiesa di San Giuliano, è uno dei più antichi luoghi di culto cattolici di Erice, dedicato a san Giuliano, martire nel 254 d.CEdificata per volere di Ruggero d’Altavilla nel 1076, su una preesistente Chiesa, come ringraziamento nei confronti del Santo che lo aiutò a cacciare via gli Arabi dalla città.
La facciata della chiesa, d’impronta rinascimentale è sovrastata dal maestoso campanile, di epoca successiva (1170), culminante con la guglia “a pagoda”. La Chiesa è stata più volte rinnovata nel corso dei secoli, fino ad assumere l’aspetto attuale. L’interno è a tre navate ornate da stucchi barocchi e conserva i gruppi statuari dei misteri che, il venerdì di Pasqua percorrono le vie del borgo medievale portati in spalla. Adiacente alla chiesa, nella piazzetta omonima, vi è la statua marmorea di Sant’ Alberto degli Abati, opera dello scultore palermitano Nicolò Travaglia